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Il finlandese deve essere considerato anche lingua dell'istruzione
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Autore Discussione: Il finlandese deve essere considerato anche lingua dell'istruzione  (Letto 2192 volte)
luukas
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« inserita:: Aprile 23, 2005, 12:09:47 »

Riporto la mia (inaccurata) traduzione di un articolo pubblicato giovedì 21 aprile 2005 sull'Helsingin sanomat, dal titolo Suomen kieltä tulee arvostaa myös koulutuksen kielenä (l'originale in finlandese, in formato pdf, si trova allegato a questo post).
L'articolo analizza il ruolo che sta via via assumendo la lingua finlandese nella società moderna, in particolare rispetto alla crescita d'importanza della lingua inglese. Anche se l'articolo fa riferimento alla lingua finlandese le considerazioni che vengono fatte dall'autore dell'articolo si adattano perfettamente anche alla situazione di altre lingue europee che rischiano una posizione di subalternità rispetto all'inglese.

La lingua finlandese deve essere considerata anche come lingua dell'istruzione

Una politica linguistica o la sua mancanza può indebolire lo stato di una lingua, le possibilità di utilizzo e il suo valore o addirittura può farla scomparire. Al sicuro sono soprattutto quelle lingue che hanno lo status di lingua ufficiale e che vengono utilizzate in modo attivo da una comunità in diversi settori. Si potrebbe dunque credere che la lingua finlandese naviga in acque sicure.
L'inglese sta comunque conquistando sempre più spazio sia nei mezzi di informazione, nel mondo imprenditoriale che nelle relazioni internazionali dello stato finlandese. Il problema non è il numero di prestiti stranieri - il prestito è comunque un naturale mezzo di evoluzione di una lingua - bensì il fenomeno chiamato diglossia.
Con diglossia di indica una combinazione, in cui in una comunità multilingue il valore attribuito ad una lingua per qualche motivo cresce agli occhi dei parlanti così tanto che lentamente questa sostituisce l'altra lingua nei contesti a cui socialmente si attribuisce un peso maggiore, ad esempio proprio nel mondo del lavoro o nell'istruzione che si rivolge al modo del lavoro. Il problema dunque è proprio la valutazione che si ha di una lingua, e non ad esempio il suo grado di ufficialità o il numero dei parlanti.

Questa valutazione la si misura con le impressioni. Una lingua può essere considerata moderna ed efficace o addirittura il presupposto delle relazioni internazionali. Al contrario si può pensare che l'altra lingua sia un po' datata, che il suo uso indichi una mancanza di dinamicità o che con la lingua in questione non sia possibile cavarsela nei forum internazionali o in campi specifici.
Così si generano situazioni - sempre più spesso con l'internazionalizzazione - in cui non si vuole utilizzare questa seconda lingua, poiché non si crede nella sua "rispettabilità". Quando non si crede più in una lingua, allora non si crede più alle sfide. Quando diminuiscono le sfide, diminuiscono infine anche le possibilità di usare una lingua.
Nei mezzi di informazione finlandesi l'inglese viene usato in modo massicci e ciò viene già considerato naturale. Una parte delle aziende finlandesi usa già l'inglese nelle comunicazioni interne. La legge finlandese non interviene ad esempio nel problema linguistico dei nomi usati in pubblicità, per i marchi dei prodotti o i nomi delle imprese.
Addirittura i rappresentanti ufficiali della Finlandia parlano nell'Unione Europea in inglese, anche se le possibilità di traduzione sono tra le migliori possibili. Lo stesso presidente della repubblica ha chiesto scusa recentemente quando ha tenuto un discorso all'ambasciata di Parigi per non aver parlato in francese, finlandese o svedese, ma non ha osato pentirsi di aver parlato in inglese.
Nell'Unione europea molti documenti ufficiali, dalle risoluzioni del parlamento alle comunicazioni della commissione e fino alla costituzione apparentemente meritano di essere redatte in più lingue. Comunque di caratteristico hanno anche il fatto che la politica linguistica e culturale è sempre sottomessa alla politica dei mercati - l'ordine di importanza è estremamente chiaro.
Il potere della politica dei mercati si riflette anche nella politica dell'istruzione superiore, come indica anche il trattato di Bologna che i ministri dell'istruzione dei paesi europei hanno con entusiasmo messo a punto. Il suo obiettivo è quello di aumentare la capacità concorrenziale degli istituti di istruzione superiore europei e la mobilità degli studenti.
Le università inglesi e francesi possono comunque solo per motivi linguistici offrire molto più facilmente corsi di studio per gli studenti di altri paesi rispetto ad esempio ai corrispondenti istituti dell'Ungheria o anche della Finlandia. Questi ultimi finiscono per offrire un insegnamento in lingua inglese per attirare studenti stranieri.

Le università europee si contenderanno presto gli stessi "clienti", e il pericolo è che nascano da una parte istituti superiori (di lingua inglese) rinomati ed internazionali e dall'altra istituti (in un'altra lingua) con risorse più modeste e circoscritti ad una ambito nazionale. Una ricerca e una politica dell'istruzione diretta ad alimentare i mercati porta l'Europa verso la diglossia. Una tale bipartizione può essere considerata a mala pena un buono sviluppo.
In un ambiente in cui la lingua inglese ottiene una generale approvazione sempre più università finlandesi offrono iteri corsi di studi in lingua inglese.
La maggior parte delle tesi di dottorato in Finlandia sono già fatte al giorno d'oggi in lingua inglese. Le conferenze e i corsi sono spesso tenuti in lingua inglese solo sulla base del fatto che tra i partecipanti ci sono degli stranieri.
Così ci si dimentica che l'uso della propria lingua nel lavoro di ricerca è adatto per aumentare sia la qualità della ricerca che l'originalità dei risultati. Una lingua è un mezzo del pensiero ma se non la si usa per il pensiero si arrugginisce.
Nell'istruzione l'influenza della politica linguistica ha un andamento che procede dall'alto verso il basso: se si stimola troppo una ricerca in lingua inglese, questo spinge a cambiare la lingua usata nell'insegnamento universitario e questo d'altra parte influenza il mondo della scuola nei gradi inferiori e pure le aspettative dei genitori degli scolari. Sembra paradossale che già adesso si interrompe un'evoluzione che iniziò nel 1860 con l'istituzione della scuole elementari di lingua finlandese.
È stato detto che la lingua finlandese è ora cresciuta trasformandosi da una lingua parlata dal popolo in una lingua ufficiale di cultura. La condizione raggiunta può comunque portare all'indifferenza o ad immaginare che non sia più necessario proteggere la nostra lingua. Contemporaneamente si permette generosamente ad una lingua straniera già presente in modo massiccio di fare passi avanti. L'indifferenza è pericolosa.
Il contrario dell'indifferenza nella politica linguistica non è comunque il fanatismo della fennomania bensì una discussione aperta e pubblica. Il futuro delle interazioni internazionali sarà assolutamente multilingue, già solo considerando le relazioni bilaterali tra paesi europei.

Si può pensare che la protezione di una lingua non appartenga ai valori del mondo contemporaneo. Sostenere un tale darwinismo linguistico è naturalmente assolutamente legittimo sia a livello statale che dell'Unione europea, ma allora sarà necessario avere anche il coraggio di riconoscerlo.
Ciò non rappresenta comunque il moderno modo di pensare. I valori più nuovi sono i diritti umani e l'uguaglianza, anche nelle questioni linguistiche e culturali. Se giustamente si considerano questi valori importanti, questi dovranno manifestarsi in una chiara politica linguistica e li si dovranno pure realizzare nella pratica.

Olli Lautenbacher
L'autore è docente presso l'università di Turku e professore in visita presso l'Università Parigi III.
« Ultima modifica: Aprile 23, 2005, 12:13:19 da luukas » Registrato
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